«Tranquilli, non muoio, vado solo a suonare da un'altra parte», ripeteva Gianni Basso nei suoi ultimi giorni, prima di andarsene il 17 agosto di sei anni fa. Da allora è grande il vuoto che la
«Tranquilli, non muoio, vado solo a suonare da un'altra parte», ripeteva Gianni Basso nei suoi ultimi giorni, prima di andarsene il 17 agosto di sei anni fa. Da allora è grande il vuoto che la sua scomparsa ha lasciato in tutto il mondo del jazz. Un mondo di cui lui, sassofonista, direttore d'orchestra e compositore di sensibilità acuta e esemplare, è stato assoluto protagonista per oltre 60 anni e del quale ha vissuto intensamente oneri e onori misurandosi e collaborando con alcuni dei migliori di sempre.
Oggi (mercoledì ore 18, ingresso libero), nel ridotto del Teatro Alfieri a lui intitolato, alla presenza del figlio Gerry Basso, dell'assessore alla Cultura Massimo Cotto e degli autori, si presenta il libro "Il jazz secondo Gianni Basso -? Cronache di un caposcuola" (Azzurra Music) di Sandra Scagliotti e Fulvio Albano. Con i contributi di Franco Bergoglio, Dave Glasser, Dusko Goykovich, Stiepko Gut, Sue Mingus, Dino Piana, Renato Sellani, Armando Trovajoli e Phil Woods, il libro raccoglie storie, di vita e di musica, degli ultimi 60 anni che hanno come interprete principale il musicista astigiano insieme a tutti coloro che con lui hanno fatto la storia del jazz.
Basso era nato ad Asti il 24 maggio del 1931 ma aveva trascorso parte dell'infanzia in Belgio. Qui inizia a studiare il clarinetto e il sax tenore e, a soli 15 anni, entra nella big band di Raoul Faisant. Torna in Italia nel ?50 e, influenzato dalle nuove sonorità di Baker e Mulligan, fonda insieme al trombettista Oscar Valdambrini il Basso?Valdambrini Quintet con cui si esibisce in tutta Italia e all'estero collaborando con i grandi del jazz tricolore (Dino Piana, Mario Pezzotta, Glauco Masetti, Attilio Donadio, Gianni Cazzola, Renato Sellani) e i maggiori artisti internazionali, tra i quali proprio Mulligan e Baker. E' così che diviene conosciuto negli Usa, tanto da iniziare a suonare alla pari con i "big" della scena (Lee Konitz, Phil Woods, Johnny Griffin, Buddy Colette) e essere uno dei più richiesti session man a livello mondiale, sia nel jazz che nel pop (Mina su tutti).
Musicista stimato, docente amato e rispettato, Basso ha contribuito a formare i migliori attuali jazzisti italiani (Cafiso, Moroni, Bosso, Boltro) e a rendere un po' più accessibile un linguaggio spesso considerato elitario. Anche per questo motivo, forse, il giorno del suo funerale nella Collegiata di San Secondo, è stata la musica a prevalere sulle lacrime, mentre la Torino Jazz Orchestra gli tributava l'ultimo, commosso, saluto.
Luca Garrone